Sebastiano Lombardi a Televisionando: ‘La sfida di Rete 4? Dialogare anche con il pubblico più giovane’ [INTERVISTA]
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Televisionando intervista Sebastiano Lombardi, direttore di Rete 4 dalla stagione televisiva 2014-2015, per una chiacchierata a tutto tondo sulla terza rete Mediaset. Rete ‘ancella, ma non secondaria’, chiarisce subito, ‘Se la batte sul terzo gradino del podio a livello nazionale’. Dati alla mano, Rete 4 viaggia su una media di rete quasi del 5%, media che comprende anche i picchi d’ascolto realizzati da programmi di punta come Quinta Colonna e Quarto Grado, in onda rispettivamente nel prime time del lunedì e del venerdì.
Con il direttore Lombardi abbiamo parlato sia di audience sia di linea editoriale, per capire quali traguardi ha raggiunto fino ad oggi Rete 4 e verso quale direzione si sta dirigendo. Dalla nascita di Quinta Colonna all’esperimento – riuscito – de La Strada dei Miracoli, si ha l’impressione che la rete stia virando verso il talk show puro, genere televisivo fino a qualche anno fa poco presente nel palinsesto. E’ così? Prima di rispondere alla domanda, Sebastiano Lombardi ci tiene a sottolineare che Rete 4 è una rete ‘che vive ancora di diritti, di film. I film sono un piatto in cui mangiano tantissimi, è un genere altamente usurato. Rai 1 e Canale 5 hanno fatto dati incomprensibili con dei film e questo non toglie niente alla loro forza’. Per quanto riguarda, poi, i risultati, dice: ‘Quando Rete 4 fa Rete 4 – con Quarto Grado, Quinta Colonna, La strada dei miracoli e Forum – è una rete che sta tra il terzo e il quarto gradino del podio. Questo è importante non solo come messaggio verso l’esterno e per la squadra che lavora con me, ma anche come indicazione editoriale. E’ ovvio che non possiamo fare sette giorni di produzioni perché sono molto costose ed è molto difficile inventarle, però venerdì Quarto Grado è terza rete nazionale. Del Debbio è stato, più di una volta, terza rete nazionale. La Strada dei miracoli, che è un altro nostro punto di forza, è stato sul terzo gradino’.
Direttore, dati alla mano, ci può tracciare un bilancio della prima parte della stagione televisiva?
L’autunno è stato duro un po’ per tutti, non solo per Rete 4. E’ sempre una stagione complicata: nella prima metà c’è l’eredità dell’estate, in cui il pubblico fa fatica ad abituarsi alla nuova offerta ed è molto disperso; la seconda metà è quella di spinta vera che porta al Natale. A noi è andata bene nel senso che in prima serata abbiamo superato gli obiettivi di uno 0,1% abbondante, quasi 0,2%, che è già un buon esito, però, come tutti, abbiamo faticato parecchio. Tutte le reti generaliste stanno faticando, non c’è più un punto di caduta: una rete che dieci anni fa aveva un punto di caduta al 18% adesso ce l’ha al 6% e quindi il risultato di un programma, a distanza di una settimana, anche per un’ammiraglia, Rai 1 o Canale 5, può essere il 6% come il 30%. Rai 1 ha fatto un dato da Sanremo con il primo episodio della nuova serie di Don Matteo, che è una cosa eccezionale, e in altre occasioni ha fatto dei dati inferiori a quelli di Rete 4. Noi abbiamo battuto le ammiraglie in alcune occasioni e abbiamo fatto poco più delle tematiche in altre.
Come si affronta il punto di caduta?
Ci vogliono i nervi molto saldi e ci vuole molta convinzione editoriale. Il bilancio mi fa dire che è stato un autunno positivo in termini di performance pura e di identità della rete, perché abbiamo consolidato i prodotti importanti – Quinta Colonna, Quarto Grado, Strada dei Miracoli, Dalla Vostra Parte, Forum, capisaldi della nostra programmazione – ma abbiamo fatto fatica quasi come se dovessimo partire da zero, anche con prodotti già fidelizzati.
Rete 4 ha un target abbastanza definito: puntate a svecchiare e allargare?
Se per svecchiare intendiamo svecchiare la rete, la risposta è sì. Se intendiamo liberarsi del pubblico maturo la risposta è ‘Perché?’ E’ come se decidessi che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie Z non più degni di attenzione. Perché devo considerare una rete con un pubblico maturo una rete residuale o minore, di secondo livello? Ho una responsabilità nei confronti del pubblico: i settantenni usano gli smartphone, non vivono in un eremo, è la mia offerta che deve essere svecchiata e sono io a dover trovare un modo moderno per parlare a un pubblico maturo, questa è la sfida. La rete si deve svecchiare, il pubblico deve rimanere tale. Poi c’è l’effetto virtuoso, che si è verificato e continua a verificarsi: Rete 4, lo dico con molta soddisfazione, pur mantenendo i suoi ascolti in prime time di stagione in stagione negli ultimi due o tre anni, ed è un miracolo nel contesto attuale, ha guadagnato più che proporzionalmente pubblico 15-64. La primavera scorsa abbiamo totalizzato lo 0.3% in più, ciò vuol dire che si possono ottenere due effetti in uno: non perdere un pubblico affezionato, tradizionale della rete, e in più riuscire a dialogare con il pubblico più giovane.
Quarto Grado ha raggiunto una media dell’8% di share, diventando il programma di punta della rete.
Sì, ma lo ha fatto con un’enorme fatica. Quarto Grado è partito con dei buoni esordi, ma aveva fatto dei sonori 4%, era stato in predicato di chiusura più di una volta.
Poi, però, il programma si è ripreso ed è ancora in crescita.
Si è ripreso, è arrivato a fare dei 19% ed è un programma di grande solidità, ha una squadra straordinaria, Gianluigi Nuzzi e Siria Magri sono due professionisti straordinari. Nuzzi è uno dei più importanti giornalisti d’inchiesta del mondo, Siria Magri è una donna dotata di grande competenza e grande capacità di lavoro. Per tenere i livelli dell’8% nello scenario competitivo di adesso bisogna essere grandi portatori di identità e ci vogliono dei numeri uno, che abbiamo la fortuna di avere.
Come si coniuga il target di rete con i social network?
I social in generale danno una lettura di secondo livello sulla televisione. Quando inizio a parlarne sui social lo faccio con strumenti di critica, ironia e parodia che sono preziosissimi perché danno vita a un prodotto al di là del dato. Non necessariamente lo rinforzano, non necessariamente lo facilitano o favoriscono nelle puntate successive, ma creano una cosa fondamentale, ovvero il discorso sociale sull’oggetto. Noi ci puntiamo tantissimo: Quarto Grado ha ricevuto anche contributi importanti grazie ai social, per noi è importante e stiamo cercando di trovare il modo di buttare le star di Rete 4 nel mondo degli youtubers e viceversa, portare gli youtubers su Rete 4. Questo probabilmente non muoverà uno spettatore, ma il modo di guardare la rete sì e anche il tipo di discorso che si fa.
Con Quinta Colonna avete importato il talk show politico su Rete 4 e, allo stesso tempo, nelle piazze. Rete 4 ambisce a diventare punto di riferimento per il talk politico?
Con Quinta Colonna ambiamo non a dei risultati, ma a trovare un nuovo linguaggio politico, che è una cosa molto più difficile. Nuovo linguaggio politico significa essere capaci di parlare di politica senza parlare di partiti, senza parlare di palazzi, che è, da un punto di vista etimologico e concettuale, il concetto puro di ‘politica’. Questo è l’enorme sforzo che Giordano e Del Debbio fanno assieme ed è un lavoro di semplificazione concettuale molto difficile, soprattutto con delle teste e delle culture come le loro. Non affrontano il concetto popolare della politica partendo da pochi strumenti, ma, al contrario, da enormi e affilatissimi strumenti cercano un linguaggio che abbia di nuovo senso per la gente e si vede. Che piaccia o non piaccia, Quinta Colonna è il talk politico di prima serata di maggior successo in Italia.
Tra i programmi di punta ha citato La strada dei miracoli, appena tornato in onda con la nuova stagione. Speravate in questo successo?
Sono molto ottimista, ma molto prudente, quindi non mi aspettavo il successo, ma sentivo che era il programma che mancava a Rete 4. Mi è stato detto: ‘Facciamo un’altra produzione di prima serata?’. Ci ho messo tre settimane a richiedere alla direzione generale informazioni sulla religione. Poi siamo andati affinando moltissimo, però ci contavo perché quello sulla fede è il tema, per un laico o per un credente.
Com’è nato il programma?
E’ stato frutto di un dibattito molto appassionato. Ci siamo chiesti: ‘Cosa serve ad un programma che parla di fede per essere autentico? Cioè, facciamo un programma ‘santino’ e lo esauriamo in una serie di monografie o consideriamo la fede esattamente come gli altri temi importanti, vale a dire come un oggetto di dibattito?’ Non abbiamo inventato noi il dibattito sulla fede, però una scelta editoriale è porre la fede come un assunto, un conto è porre la fede partendo da una prospettiva cristiana, perché la nostra lo è, che siamo laici o che siamo credenti.
Durante il dibattito, avete fatto un raffronto con ‘A sua immagine’? Avete pensato, cioè, a come fosse raccontata la religione in tv fino a quel momento?
No, abbiamo fatto lo sforzo contrario. Luca Tiraboschi, Claudio Brachino, Safiria Leccese ed io siamo anime molto diverse: ci sono atei radicali, agnostici, cattolici e abbiamo cominciato a farci le domande su cosa è importante chiedersi quando si parla di religione; abbiamo fatto tabula rasa e, contrariamente a quanto facciamo di solito, non abbiamo guardato un format né fatto valutazioni, così come non abbiamo preso un volto che fosse già accreditato in quell’ambito. Safiria Leccese è una giornalista politica vera e propria, don Davide non era un personaggio televisivo. Abbiamo azzerato il discorso sulla religione senza scegliere strade facili.
Rete 4 sta virando verso il talk show puro?
Rete 4 non intende diventare la rete dei talk, avrà altre frecce da tirare sulle quali stiamo lavorando con la stessa passione e la stessa prudenza con le quali abbiamo lavorato agli altri progetti. Abbiamo due o tre cose sulle quali stiamo ragionando, ma, vista la difficoltà dei tempi, ci stiamo lavorando disposti a buttare via tutto il giorno prima di cominciare a costruire la scenografia. Abbiamo l’obbligo della responsabilità.
Responsabilità, quindi, ma senza tralasciare la sperimentazione.
E’ una novità che stiamo cercando di mettere a punto: abbiamo voglia di sperimentare, ma dobbiamo essere aziendalmente responsabili. Su ogni progetto che abbia un senso si va dritti come se si dovesse andare in onda: si testano i contenuti, si guardano i filmati, si fanno bozze di scena, si individuano ipotesi di conduzione, si cerca di falsificare la bontà dell’idea; quello che rimane arriva al vaglio dell’ipotesi della messa in onda.
C’è un programma che vorrebbe su Rete 4?
Vorrei vedere, e la vedrete, ancora più musica. Abbiamo in programma nell’anno solare 2016 quattro grandi serate dedicate ai grandi autori della musica pop italiana degli ultimi 40 anni. Mettere assieme cantanti importanti è complesso produttivamente ed è oneroso, però ne vorrei vedere di più perché è un’altra forma di racconto popolare molto importante. Poi c’è un’altra cosa sulla quale ci esporremo in seconda serata: il racconto attraverso il racconto di chi fa la storia di questi tempi. E’ un’epoca estremamente complessa, che genere molte paure, cerchiamo di capire chi sono le persone in mano alle quali sono i nostri destini.